martedì 13 dicembre 2016

ARANCINE CON LAMPREDOTTO E CAVOLO NERO


In una fusion interregionale di cibo da strada, per la Giornata nazionale dell'arancina, secondo  il Calendario del Cibo Italiano Aifb, a cura di Maria Pia Bruscia del blog La Apple Pie di Mary Pie, le arancine siciliane  sposano   il lampredotto fiorentino, ingrediente protagonista del cibo da strada per eccellenza della città del giglio, ovvero il panino col lampredotto, che appositi chioschi, sparsi in diverse piazze della città o concentrati nei mercati di San Lorenzo e Sant'Ambrogio, propongo ad ogni ora del giorno!
E non solo, anche il riso richiama un altro uso antichissimo della cucina popolare fiorentina, un cibo emblema di povertà di cui i fiorentini dei quartieri bassi si vergognavano e che mangiavano più per necessità che per  gusto: riso e cavolo nero cotti nel brodo di lampredotto; se si voleva recare offesa ad un umile lo si apostrofava dicendogli che era "venuto su a brodo di lampredotto"

Il  lampredotto è uno dei quattro stomaci del bovino, per la precisione, l'abomaso. È formato da due parti, la spannocchia ,la parte più grassa, bianca e gelatinosa e la gala, che è la parte più buona e saporita, molto increspata e di colore violaceo. Il nome pare che derivi da una qualche somiglianza con la lampreda, una sorta di anguilla che fino a qualche tempo fa sguazzava  in Arno.
Il panino col lampredotto da qualche anno è ritornato in auge, artefici di questo revival sono  molti chef contemporanei che hanno recuperato le antiche tradizioni popolari toscane e lo ripropongono in carta in divertenti rivisitazioni.
Proprio grazie  a queste frequentazioni mi sono appassionata al cosiddetto Quinto Quarto. E pensare che quando sono "scesa" in Toscana, facevo la schizzinosa davanti alla trippa però mangiavo la lingua. Dopo poco tempo, ho rotto gli argini e ora il mio palato avventuroso fa concorrenza ai giapponesi!!


Ingredienti per 8 arancine di ca 6-7 cm di diametro

lampredotto g 300
riso carnaroli g 200
mezza carota, mezzo gambo di sedano
 1 scalogno, 2-3 chiodi di garofano, un ciuffo di prezzemolo
1,5 l d'acqua
4-5 foglie tenere di cavolo nero
sale, olio extra vergine d'oliva Toscano qb
+ farina e acqua  e pan grattato per la lega e la panatura
2 l di olio extra vergine d'oliva dal gusto delicato  per friggere

Il lampredotto che si trova comunemente  in commercio è pre-cotto, per  fare il brodo l'ho tuffato nell'acqua con le verdure e gli odori, un pizzico di sale e l'ho fatto sobbollire coperto per 30 minuti. L'ho spento e l'ho lasciato a bagno  per un giorno intero perché il riso viene meglio se cotto nel brodo del lampredotto del giorno prima, come mi insegna un amico trippaio.
Ho scolato il lampredotto, portato a bollore il brodo rimasto, che si è ridotto  a 1 litro circa, ho cotto il riso nel brodo  12 minuti (la cottura completa prevista è 20)  fino a completo assorbimento del liquido, in modo che mantenesse tutta la collosità sia del grasso del brodo che dell'amido del riso. Ho mantecato solo con un poco d'olio evo. Ho fatto raffreddare immergendo la pentola in una bacinella con acqua e ghiaccio e poi ho passato in frigorifero per qualche ora.
Nel frattempo ho pulito il lampredotto, levando la parte grassa, quella bianca, l'ho tagliato a striscioline e l'ho rosolato con un po' di scalogno, olio evo e il cavolo nero tagliato a  striscioline.
Ho composto le arancine farcendole con il ragù di lampredotto e cavolo.
Le ho passate nella lega preparata con acqua e farina e poi panate nel pan grattato e fritte due-tre alla volta, in abbondante olio extra vergine d'oliva  riscaldato e mantenuto tra i 160 e  180° (basta premunirsi di un termometro per alimenti).
 









lunedì 5 dicembre 2016

IL PONCE LIVORNESE



Nel giorno di apertura della settimana nazionale del caffè, secondo il Calendario del Cibo Italiano Aifb, a cura di Mai Esteve, blog Il Colore della Curcuma, dedico il mio  contributo ad un caffè speciale, poco conosciuto oltre i confini originari livornesi e toscani: il ponce, un caffè espresso zuccherato, "fortificato"  da una miscela di (finto) rum e liquore all’anice, completato da una scorza di limone, detta "la vela".
Ma non chiamatelo “caffè corretto”, giammai, il ponce è il ponce. Stop. Uno dei capisaldi della verace gastronomia labronica. Ha una forte connotazione identitaria e fiera come forte e fiero e fantasioso è il carattere dei livornesi, perché solo a Livorno poteva nascere! 

Forse non tutti sanno che,  pare che il primo porto italiano dove sia sbarcato il caffè, uno dei simboli della gastronomia italiana, fu  Livorno. E, secondo alcune autorevoli fonti,  anche la prima Bottega del caffè  nacque probabilmente proprio a Livorno, e non a Venezia come le cronache hanno diffuso, nei primi decenni  del 1600,  grazie agli ebrei sefarditi in fuga da Spagna e Portogallo, i quali, a causa delle persecuzioni razziali,  trovarono rifugio a Livorno, città medicea in pieno sviluppo, modello civile di tolleranza e porto aperto a tutti i perseguitati del Mediterraneo, già  a partire dal XVI secolo.

Gli ebrei portarono con sé anche un altro prodotto che diventerà basilare nella nascente gastronomia livornese e grande protagonista della cucina italiana: il pomodoro, la cui coltivazione si sviluppò successivamente al sud ma questa è un'altra storia..... 

Col caffè a Livorno fanno dunque  il "ponce", un caffè espresso, servito in un caratteristico bicchierino di vetro, zuccherato e corretto con un misto di rum e liquore all'anice detto  mastice, con l'aggiunta di una scorza di limone detta vela, una bomba alcolica per aiutare la digestione dopo abbondanti libagioni, non adatto agli "stomachi deboli" di artusiana memoria.




Ponce quasi sicuramente deriva  da  punch che a sua volta prende origine dal termine sanscrito pancha, cioè pugno, formato dalle cinque dita della mano, quindi sinonimo anche di cinque elementi, che compongono originariamente infatti il punch inglese. E il ponce livornese ha proprio la forza di un pugno e i suoi ingredienti sono proprio cinque: caffè, zucchero, rumme, limone, mastice o sassolino. 

Il termine punch fu  volgarizzato  in ponce dai rudi portuali che nel XVII secolo,  in seguito alla scoperta di questa nuova bevanda introdotta dai marinai inglesi, sostituirono il tè all'uso britannico, con il caffè perchè col tè "noi ci si fa i gargarismi" sghignazzavano i portuali livornesi!  Inoltre il rhum inglese divenne, secondo la pronuncia vernacolare labronica, rumme; nella pratica, non è un vero rum delle Antille ma un rum di fantasia, costituito da alcol, zucchero, caramello scuro.


Un'altra ipotesi sull'origine del ponce,  ma ha più il sapore della leggenda, è legata alla storia di un vascello proveniente dalle americhe, che approdò a Livorno mal messo a causa di una burrasca in mare. Trasportava balle di caffè e barilotti di rhum che durante il fortunale si erano rotti riversando il contenuto sulle balle di caffè, rovinandolo e annullandone il valore commerciale.
Le balle di caffè, irrimediabilmente sciupate, furono svendute  sulle banchine del porto.
I portuali, che il caffè se lo sarebbero potuto solo sognare, colsero l'occasione al volo e scoprirono quanto di buono c'era in quella strana mescolanza!

Quale che fosse la vera origine, l'uso del ponce si diffuse velocemente e cominciò ad essere servito anche nei pubblici esercizi, dove per sopperire alla mancanza di igiene, si usava passare una buccia di limone sul bordo del bicchiere. Ahimé, al termine dell'operazione in qualche modo "disinfettante", la buccia veniva buttata nella bevanda calda!
La buccia di limone prese il nome di vela ed è rimasta in uso.

Il ponce Vittori, inventore del rum fantasia

La versione diffusa tra Ottocento e Novecento prevedeva una preventiva bollitura del caffè macinato in una pentola piena d'acqua; da ciò si otteneva un infuso che veniva filtrato con un panno di lana e immesso nella caffettiera. Al caffè che usciva dalla macchina veniva poi aggiunto con un misurino il rumme e/o la "mastice", una versione del mistrà, liquore di semi di anice verde macerati in alcol.

Fino ai primi anni del Novecento, sia il rumme che la mastice erano generalmente fabbricate dal proprietario del locale nel proprio retrobottega, in quanto la legge lo permetteva. Nella sua versione originale, il ponce è praticamente scomparso negli anni cinquanta.

Ai giorni nostri, la preparazione del ponce, come comunemente si può osservare nei bar di Livorno e delle zone limitrofe, segue una procedura abbastanza consolidata: si utilizza un tipico bicchierino di vetro piuttosto spesso (localmente detto "il gottino"), leggermente più grande di quello che normalmente si usa per il caffè; si dosa lo zucchero e si aggiunge una scorza di limone (la "vela"); si versa il "rumme” o  un mix di "rumme e cognac" o "rumme e sassolino" (liquore all’anice, da Sassuolo): il giusto dosaggio del liquore si ottiene usando come riferimento il bordo superiore dei semicerchi che si trovano alla base del bicchiere. Quindi, con il beccuccio del vapore della macchina espresso, si porta la mistura ad ebollizione e, prontamente, si colma il bicchiere con un buon caffè ristretto.
Il ponce deve essere bevuto caldo bollente, dopo una rapida mescolata dello zucchero che non si fosse ancora disciolto.  Si consuma generalmente dopo pranzo o dopo cena, come “digestivo”

Varianti del ponce classico, nel passato, erano il "mezzo e mezzo", un caffè corretto con una mistura di rum e mastice, e il "ponce americano" aromatizzato all'arancia.
La torpedine è una versione "rinforzata" del ponce - si effettua aggiungendo alla polvere di caffè una punta di peperoncino.

ANEDDOTI E SPIRITO LIVORNESE:

Anche il poeta Giosuè Carducci era un estimatore del ponce come si evince da una sua lettera all’amico Nando: “assai di bianco, o Nando, assai di nero ponce bevemmo e con saper profondo, non lasciammo giammai tazza o bicchiero senza vedere il fondo”

Nel marzo del 1906 arrivò  in città il celebre Buffalo Bill con il suo circo e fu  accompagnato in un bar tipico ad assaggiare il ponce;  da buon americano spaccone, tentò  di berlo tutto d’un fiato ma fallì clamorosamente e lo finì a piccoli sorsi con i lucciconi agli occhi suoi (e di quelli che scoppiavano dal ridere guardandolo!)

C'è chi giura che anche  Garibaldi, passato frequentemente da Livorno, come testimoniano le molte targhe commemorative affisse su edifici cittadini , avesse assaggiato questa bevanda esclamando: "Buono! questo riscalda come il mio poncho".

Per fare due risate, cito una simpatica barzelletta livornese: una coppia con un bimbo in braccio di sei mesi si ferma al bar a prendere il ponce e ne dà una sorsata anche al bimbo. Il barista inorridito esclama "oh che fa? ni dà 'r ponce ar bimbo?" "deh! e dopo un cacciucco* che gli vòi dà? un bicchiere di latte?"
*famosa zuppa di pesce livornese molto piccante e agliata!!!

Un estratto dall’Elogio del ponce livornese di ALDO  SANTINI, uno dei massimi esperti di cucina e storia gastronomica livornese
   
Sulla  "Grande Enciclopedia Illustrata di Gastronomia", curata da Marco Guarnaschelli Gotti,  cercate ponce e troverete con notevole sorpresa la seguente nota: "voce dialettale toscana per punch".
E qui si accende una polemica ad alta gradazione alcolica. A parte il fatto che "ponce" è una voce livornese e che Livorno si trova in Toscana ma non ha niente del suo carattere e delle sue tradizioni, del suo temperamento, tant'è vero che i toscani sono di norma avari e i livornesi scialoni, i toscani nascondono i loro sentimenti dietro un sorrisino ipocrita e i livornesi dicono sempre quel che pensano, i toscani si sentono depositari di un'eccelsa cultura e i livornesi ostentano la loro ignoranza, a parte tutto questo, e il discorso potrebbe essere approfondito in altra sede, il ponce è legato al "punch" solo da un abbozzo di traduzione maccheronica.
…………………….
Il rum fantasia o rumme non nasce nelle isole caribiche ma è un'invenzione valorizzata soprattutto dai fabbricanti livornesi. E senza il rum fantasia non esisterebbe il ponce. Un'invenzione geniale, dunque. E insieme una birbonata. Mi spiego. Il rum fantasia è alcol più zucchero, più il caramello bruciato per dargli il colore cupo. C'è chi lo imbelletta con un'essenza di rum, un estratto, ma la fantasia rimane totale. E qui entriamo nel merito della disputa tra "punch" e ponce………….
Il genio (abbondo, lo so) dei livornesi, si espresse negli strati sociali meno alti, nel popolo e nel popolino, nelle botteghe dei caffè di via Ferdinanda e di piazza Grande. Genio e intelligenza. Orgoglio di campanile. Senso del risparmio, anche.
Perché copiare gli inglesi? Già allora non dovevano essere troppo simpatici, e guardavano di sicuro la gente comune dall'alto in basso, con la puzza sotto il naso, come diciamo noi livornesi. E perché spendere tanti quattrini nel rum importato dalle Antille via Londra? Il colpo di genio (continuo ad abbondare, ma l'esagerazione è una delle nostre caratteristiche da carta d'identità), fu quello di adottare un duplice provvedimento sostituendo, in una volta sola, il rum e l'acqua bollente (puah!). L'acqua bollente con il caffè e il rum delle antille, che non reggeva il peso del caffè, con il rum fantasia "made in Leghorn".
Una birbonata capace di illustrare da sola lo spirito di una città.

E il ponce si rivelò migliore del "punch"!


Aldo Santini, CUCINA LIVORNESE, Franco Muzzio Editore e IL PONCE LIVORNESE, Ed. Belforte
Wikipedia, che si rifa abbondantemente al Santini
La Livornina per la ricetta del vero ponce DOC
Una leggenda sulla nascita del ponce qui

Il tempio indiscusso del ponce a Livorno: il leggendario Bar Civili via del Vigna, 35 Tel. 0586408170