Nel giorno di apertura della settimana nazionale del caffè, secondo il Calendario del Cibo Italiano Aifb, a cura di Mai Esteve, blog Il Colore della Curcuma, dedico il mio contributo ad un caffè speciale, poco
conosciuto oltre i confini originari livornesi e toscani: il ponce, un caffè espresso zuccherato, "fortificato" da una miscela di (finto) rum e liquore all’anice,
completato da una scorza di limone, detta "la vela".
Ma non chiamatelo “caffè corretto”, giammai, il ponce è il ponce. Stop. Uno dei capisaldi della verace gastronomia labronica. Ha una
forte connotazione identitaria e fiera come forte e fiero e fantasioso è il
carattere dei livornesi, perché solo a Livorno poteva nascere!
Forse non tutti sanno che, pare che il
primo porto italiano dove sia sbarcato il caffè, uno dei simboli della
gastronomia italiana, fu Livorno. E, secondo alcune autorevoli fonti, anche la prima Bottega del caffè
nacque probabilmente proprio a Livorno, e non a Venezia come le cronache hanno diffuso,
nei primi decenni del 1600, grazie agli ebrei sefarditi in fuga da Spagna e Portogallo, i
quali, a causa delle persecuzioni razziali, trovarono rifugio a Livorno, città medicea in
pieno sviluppo, modello civile di tolleranza e porto aperto a tutti i
perseguitati del Mediterraneo, già a
partire dal XVI secolo.
Gli ebrei portarono con sé anche un altro prodotto che diventerà
basilare nella nascente gastronomia livornese e grande protagonista della
cucina italiana: il pomodoro, la cui coltivazione si sviluppò
successivamente al sud ma questa è un'altra storia.....
Col caffè a Livorno fanno dunque il "ponce", un caffè espresso, servito
in un caratteristico bicchierino di vetro, zuccherato e corretto con un misto
di rum e liquore all'anice detto mastice, con l'aggiunta di una
scorza di limone detta vela, una bomba alcolica per aiutare la
digestione dopo abbondanti libagioni, non adatto agli "stomachi
deboli" di artusiana memoria.
Ponce quasi sicuramente deriva da punch che a sua
volta prende origine dal termine sanscrito pancha,
cioè pugno, formato dalle cinque dita della mano, quindi sinonimo anche di
cinque elementi, che compongono originariamente infatti il punch inglese. E il
ponce livornese ha proprio la forza di un pugno e i suoi ingredienti sono
proprio cinque: caffè, zucchero, rumme, limone, mastice o sassolino.
Il termine punch fu volgarizzato in ponce
dai rudi portuali che nel XVII secolo, in seguito alla scoperta di questa nuova
bevanda introdotta dai marinai inglesi, sostituirono il tè all'uso britannico,
con il caffè perchè col tè "noi ci si fa i gargarismi" sghignazzavano
i portuali livornesi! Inoltre il rhum
inglese divenne, secondo la pronuncia vernacolare labronica, rumme; nella pratica, non è un vero rum
delle Antille ma un rum di fantasia, costituito da alcol, zucchero, caramello
scuro.
Un'altra ipotesi sull'origine del ponce, ma ha più il sapore della leggenda, è legata alla storia di un vascello proveniente dalle americhe, che approdò a Livorno mal messo
a causa di una burrasca in mare. Trasportava balle di caffè e barilotti di rhum
che durante il fortunale si erano rotti riversando il contenuto sulle balle di
caffè, rovinandolo e annullandone il valore commerciale.
Le balle di caffè, irrimediabilmente sciupate, furono svendute sulle banchine del porto.
I portuali, che il caffè se lo sarebbero potuto solo sognare, colsero
l'occasione al volo e scoprirono quanto di buono c'era in quella strana
mescolanza!
Quale che fosse la vera origine, l'uso del ponce si diffuse velocemente e cominciò ad essere servito anche
nei pubblici esercizi, dove per sopperire alla mancanza di igiene, si
usava passare una buccia di limone sul bordo del bicchiere. Ahimé, al
termine dell'operazione in qualche modo "disinfettante", la buccia
veniva buttata nella bevanda calda!
La buccia di limone prese il nome di vela ed è rimasta in uso.
Il ponce
Vittori, inventore del rum fantasia
La versione
diffusa tra Ottocento e Novecento prevedeva una preventiva
bollitura del caffè macinato in una pentola piena d'acqua; da ciò si otteneva
un infuso che veniva filtrato con un panno di lana e immesso nella caffettiera.
Al caffè che usciva dalla macchina veniva poi aggiunto con un misurino il rumme
e/o la "mastice", una versione del mistrà,
liquore di semi di anice verde macerati in alcol.
Fino ai
primi anni del Novecento, sia il rumme
che la mastice erano generalmente fabbricate dal proprietario del locale nel
proprio retrobottega, in quanto la legge lo permetteva. Nella sua versione
originale, il ponce è praticamente scomparso negli anni cinquanta.
Ai
giorni nostri, la preparazione del ponce,
come comunemente si può osservare nei bar di Livorno e delle zone limitrofe, segue una
procedura abbastanza consolidata: si
utilizza un tipico bicchierino di vetro piuttosto spesso (localmente detto
"il gottino"), leggermente più grande di quello che normalmente si
usa per il caffè; si dosa lo zucchero e si aggiunge una scorza di limone (la
"vela"); si versa il "rumme” o un mix di "rumme e cognac"
o "rumme e sassolino" (liquore
all’anice, da Sassuolo): il giusto dosaggio del liquore si ottiene usando come
riferimento il bordo superiore dei semicerchi che si trovano alla base del
bicchiere. Quindi, con il beccuccio del vapore della macchina espresso, si
porta la mistura ad ebollizione e, prontamente, si colma il bicchiere con un
buon caffè ristretto.
Il ponce deve essere bevuto caldo bollente, dopo una
rapida mescolata dello zucchero che non si fosse ancora disciolto. Si
consuma generalmente dopo pranzo o dopo cena, come “digestivo”
Varianti del
ponce classico, nel passato, erano il "mezzo
e mezzo", un caffè corretto con una mistura di rum e mastice, e il
"ponce americano"
aromatizzato all'arancia.
La torpedine è una versione
"rinforzata" del ponce - si effettua aggiungendo alla polvere di
caffè una punta di peperoncino.
ANEDDOTI E
SPIRITO LIVORNESE:
Anche il poeta Giosuè Carducci era un estimatore
del ponce come si evince da una sua lettera all’amico Nando: “assai di bianco,
o Nando, assai di nero ponce bevemmo e con saper profondo, non lasciammo
giammai tazza o bicchiero senza vedere il fondo”
Nel marzo
del 1906 arrivò in città il celebre Buffalo Bill con il suo circo e fu accompagnato in un bar tipico ad assaggiare il
ponce; da buon americano spaccone, tentò
di berlo tutto d’un fiato ma fallì
clamorosamente e lo finì a piccoli sorsi con i lucciconi agli occhi suoi (e di
quelli che scoppiavano dal ridere guardandolo!)
C'è
chi giura che anche Garibaldi, passato frequentemente da Livorno, come testimoniano le molte targhe commemorative affisse su edifici cittadini , avesse assaggiato
questa bevanda esclamando: "Buono! questo riscalda come il mio poncho".
Per fare due risate, cito una simpatica barzelletta livornese: una coppia con un bimbo in braccio di
sei mesi si ferma al bar a prendere il ponce e ne dà una sorsata anche al
bimbo. Il barista inorridito esclama "oh che fa? ni dà 'r ponce ar
bimbo?" "deh! e dopo un cacciucco* che gli vòi dà? un bicchiere
di latte?"
*famosa zuppa di pesce livornese molto piccante e agliata!!!
Un estratto dall’Elogio del ponce livornese di ALDO SANTINI, uno dei massimi esperti di cucina e
storia gastronomica livornese
Sulla "Grande Enciclopedia
Illustrata di Gastronomia", curata da Marco Guarnaschelli Gotti, cercate ponce
e troverete con notevole sorpresa la seguente nota: "voce dialettale
toscana per punch".
E qui si accende una polemica ad alta gradazione alcolica. A parte il fatto
che "ponce" è una voce livornese e che Livorno si trova in Toscana ma
non ha niente del suo carattere e delle sue tradizioni, del suo temperamento,
tant'è vero che i toscani sono di norma avari e i livornesi scialoni, i toscani
nascondono i loro sentimenti dietro un sorrisino ipocrita e i livornesi dicono
sempre quel che pensano, i toscani si sentono depositari di un'eccelsa cultura
e i livornesi ostentano la loro ignoranza, a parte tutto questo, e il discorso
potrebbe essere approfondito in altra sede, il ponce è legato al
"punch" solo da un abbozzo di traduzione maccheronica.
…………………….
Il rum fantasia o rumme non nasce nelle isole caribiche ma è un'invenzione
valorizzata soprattutto dai fabbricanti livornesi. E senza il rum fantasia non
esisterebbe il ponce. Un'invenzione geniale, dunque. E insieme una birbonata.
Mi spiego. Il rum fantasia è alcol più zucchero, più il caramello bruciato per
dargli il colore cupo. C'è chi lo imbelletta con un'essenza di rum, un estratto,
ma la fantasia rimane totale. E qui entriamo nel merito della disputa tra
"punch" e ponce………….
Il genio (abbondo, lo so) dei livornesi, si espresse negli strati sociali
meno alti, nel popolo e nel popolino, nelle botteghe dei caffè di via
Ferdinanda e di piazza Grande. Genio e intelligenza. Orgoglio di campanile.
Senso del risparmio, anche.
Perché copiare gli inglesi? Già allora non dovevano essere troppo
simpatici, e guardavano di sicuro la gente comune dall'alto in basso, con la
puzza sotto il naso, come diciamo noi livornesi. E perché spendere tanti
quattrini nel rum importato dalle Antille via Londra? Il colpo di genio
(continuo ad abbondare, ma l'esagerazione è una delle nostre caratteristiche da
carta d'identità), fu quello di adottare un duplice provvedimento sostituendo,
in una volta sola, il rum e l'acqua bollente (puah!). L'acqua bollente con il
caffè e il rum delle antille, che non reggeva il peso del caffè, con il rum
fantasia "made in Leghorn".
Una birbonata capace di illustrare da sola lo spirito di una città.
E il ponce si rivelò migliore del "punch"!
Aldo Santini, CUCINA LIVORNESE, Franco Muzzio Editore e IL PONCE
LIVORNESE, Ed. Belforte
Wikipedia, che si rifa
abbondantemente al Santini
Una leggenda sulla nascita del ponce qui
Il tempio indiscusso del ponce a Livorno: il leggendario Bar Civili via del
Vigna, 35 Tel. 0586408170