Giornata nazionale dell'acquacotta e del pancotto per il Calendario del Cibo Italiano Aifb, ambasciatrice Tamara Giorgetti, blog Un Pezzo della mia Maremma
Contribuisco a questa giornata con la mia acquacotta d'erbe selvatiche.
Quando si parla di acquacotta, si pensa subito alla profonda Maremma, quella dei cavalli selvaggi e dei buoi candidi dalle lunghe corna, dei bufalai autentici e dei butteri incavolati con quell'intruso di Buffalo Bill, che intendeva insegnar loro qualcosa che essi invece ben conoscevano sin dalla nascita!
Non poteva esserci migliore ambasciatrice di Tamara, maremmana Docg! Rimando dunque al suo post introduttivo per un approfondimento sui due piatti si celebrano oggi per il Calendario del Cibo Italiano Aib di cui sopra.
Un celebre dipinto di Giovanni Fattori del 1893 con butteri e mandrie maremmane al pascolo, conservato al Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno
Io abito nell'Alta Maremma, sono importata ma mi sono ben acclimatata e appassionata da subito alla cultura gastronomica della regione che mi ha ospitata.
Parlando dell'Alta Maremma, il granduca Leopoldo II asseriva che era "Maremma" tutto il visibile dal largo della costa toscana, compresi i cosiddetti paesi "marittimi", sia vicini al mare come Rosignano, Castellina, Casale, Castagneto e Campiglia, sia più interni e lontani come Monteverdi, Monterotondo e Massa, tutti nomi seguiti infatti da "marittimo/a".
"Maremma" era laddove c'erano paludi, acquitrini, visi smunti e branchi di animali bradi tenuti a bada dai butteri, ai quali non era difficile scovare, anche dall'alto della cavalcatura, l'erbetta più acidula, il radicchio meno amarognoli, il piscialletto più saporito. Con quelle erbe e magari una cipolla sottratta alla panzanella e acqua a coprire tutto, veniva imbastito una specie di infuso che non poteva che chiamarsi "acquacotta" dato che, oltre all'acqua c'era ben poco d'altro. Il "qualcos'altro" era legato alla natura del posto, alla presenza di erbette per molti anni snobbate e ora oggetto della moda del foraging, come la cicoria, la valerianella, il raperonzolo, il crescione, la borragine, lo spinacino selvatico, la cicerbita, l'erba vetriola, le ortiche.
A rimpolpare l'esiguo rancio, panacea di antiche fami, come in molte zuppe toscane, non poteva e non può mancare il pane posato toscano che assorbe il liquido e la zuppa diventa così densa che la puoi mangiare con la forchetta. Non ultimo i butteri spaccavano dentro alla zuppa bollente, direttamente nel paiolo, tutte le uova che raccattavano anche se di palude e impucinate, che si rapprendevano subito nel recipiente. E la nobilitazione finale: abbondante pecorino grattugiato, se c'era.
Non posso fare a meno di citare una delle mie fonti principali in materia di cucina della Costa Livornese e dell'Alta Maremma, di cui ho conosciuto personalmente alcuni autori e a cui attingo spesso per le mie ricerche. Parti del testo qui sopra sono infatti tratte da Il Codice della Cucina Livornese, ed. Villa Guerrazzi, Cecina, 2002 di Luciano Bezini e Umberto Creatini con la collaborazione di Aldo Santini, Enrico e Claudio Guagnini, la cui edizione è, purtroppo, esaurita da tempo.
Proprio sul citato Codice della Cucina Livornese, viene proposta una versione di acquacotta più attuale, con l'aggiunta di pomodoro e oltre alle erbe selvatiche, anche cavolo e bietole che si possono acquistare ovunque, con alcune indicazioni per cuocerla nelle cucine di casa. Viene consigliato infatti di cuocere l'uovo a parte, o rosolato in tegamino all'occhio di bue o in camicia e poi posizionato sulla zuppa piuttosto che romperlo direttamente nel "paiuolo". Ho seguito la versione del libro, personalizzandola un po' utilizzando esclusivamente erbe selvatiche (sia cotte che crude) raccolte da me medesima sui poggi di Castiglioncello.
Ho imparato a riconoscere le erbe frequentando il mercato dove alcune donnine portavano nelle ceste le erbe miste di campo, me le facevo spiegare e con i campioni andavo per campi, le confrontavo e così mi fidavo a raccogliere. Non ultimo, proprio recentemente, ho seguito con un gruppo di amici, uno chef e parte della sua brigata, un mini corso sulle erbe spontanee, tenuto da una botanica, con esperienza di raccolta e raffronto sul campo, nel vero senso della parola. Sì, perché la raccolta di erbe selvatiche è una cosa seria, bisogna fare molta attenzione, bisogna affidarsi a chi le conosce bene; ce ne sono di molto simili fra loro che si confondono facilmente e alcune sono tossiche se non addirittura velenose, quindi GRANDE CAUTELA! Io, quando sono nel dubbio, non mi arrischio. Inoltre bisogna anche stare attenti ai luoghi dove si raccolgono, mi sembra superfluo sottolineare che non si raccolgono ai margini di strade o lungo fossi che possono essere inquinati, né tanto meno vicino a campi coltivati dove possono essere stati fatti trattamenti chimici. L'ideale è la macchia, lontana dal tessuto urbano, coi suoi prati selvaggi e incontaminati (o almeno si spera)
Lungi dall'essere un'esperta, sto sempre studiando ma insomma, ne conosco abbastanza per farci una discreta zuppa e grazie a quest'inverno mite, nei campi c'è un'abbondanza di specie che solitamente non si trovano in questo periodo.
Vari radicchi più o meno amari, per la zuppa ho scelto quello più dolce, il crepis leotodontoides o insalatina di monte, poi borragine, rapini, cicerbite, erba vetriola e plantago lanceolata o piantaggine(dal lieve sapore di fungo). Come finitura a crudo: finocchietto selvatico e un tipo di aglio selvatico molto buono: allium triquetum (foto qui sotto)
E ora cuociamo tutta 'sta roba!
Ingredienti per 3/4 porzioni
1000-1200 g di erbe spontanee miste (oppure cavolo nero + bietole)
2 l d'acqua ca
1 cipolla grande (bionda o rossa secondo il proprio gusto)
1 barattolo di pelati da 400 g
300 g di pane casalingo toscano posato
pecorino toscano dop media stagionatura qb
3-4 uova di categoria A da allevamento a terra o biologico
1 ciuffo di finocchietto selvatico
3-4 aglietti selvatici
olio evo Igp Toscano di carattere e gusto intenso qb
sale o "dado" vegetale casalingo (mix di sale/sedano/carota/cipolla/prezzemolo), pepe nero di mulinello e/o peperoncino jalapeño macinato
Lavate le erbe in abbondante acqua, con aggiunta di bicarbonato, per purificarle da eventuali residui di terra. Tagliuzzatele. In una capiente casseruola, fate rosolare la cipolla affettata finemente in un paio di cucchiai d'olio, aggiungete prima le erbe, fate insaporire, poi i pelati con tutto il loro succo, allungate con acqua calda, fate andare a pentola coperta e a fuoco dolce per ca 30 minuti aggiungendo di tanto in tanto altra acqua in modo da arrivare a fine cottura con una zuppa ben brodosa. (il brodo sarà poi assorbito dal pane). Regolate di sale o dado casalingo, assaggiando prima di aggiungere.
Tagliate a fette spesse il pane, tostatelo in forno e disponetene 2-3 fette per piatto.
Per le uova, si possono rompere direttamente nella zuppa bollente poco prima di versarla sul pane oppure cuocere a parte, lasciando il tuorlo semi-crudo, e poi disporle sopra alla zuppa. Io ho scelto l'opzione di cuocerle in camicia col trucco (for dummies)!
Siamo al tocco finale: versate la zuppa ben calda ma non bollente sulle fette di pane, altrimenti il pane si cuoce troppo, posizionate sopra la zuppa un uovo in camicia per commensale, guarnite con l'aglietto tritato fresco e dei ciuffi di finocchietto selvatico, una macinata di pepe e/o peperoncino, una spolverata di pecorino passato alla grattugia con fori grandi e infine un giro d'olio evo a crudo.
E buon'acquacotta a tutti!