martedì 13 dicembre 2016

ARANCINE CON LAMPREDOTTO E CAVOLO NERO


In una fusion interregionale di cibo da strada, per la Giornata nazionale dell'arancina, secondo  il Calendario del Cibo Italiano Aifb, a cura di Maria Pia Bruscia del blog La Apple Pie di Mary Pie, le arancine siciliane  sposano   il lampredotto fiorentino, ingrediente protagonista del cibo da strada per eccellenza della città del giglio, ovvero il panino col lampredotto, che appositi chioschi, sparsi in diverse piazze della città o concentrati nei mercati di San Lorenzo e Sant'Ambrogio, propongo ad ogni ora del giorno!
E non solo, anche il riso richiama un altro uso antichissimo della cucina popolare fiorentina, un cibo emblema di povertà di cui i fiorentini dei quartieri bassi si vergognavano e che mangiavano più per necessità che per  gusto: riso e cavolo nero cotti nel brodo di lampredotto; se si voleva recare offesa ad un umile lo si apostrofava dicendogli che era "venuto su a brodo di lampredotto"

Il  lampredotto è uno dei quattro stomaci del bovino, per la precisione, l'abomaso. È formato da due parti, la spannocchia ,la parte più grassa, bianca e gelatinosa e la gala, che è la parte più buona e saporita, molto increspata e di colore violaceo. Il nome pare che derivi da una qualche somiglianza con la lampreda, una sorta di anguilla che fino a qualche tempo fa sguazzava  in Arno.
Il panino col lampredotto da qualche anno è ritornato in auge, artefici di questo revival sono  molti chef contemporanei che hanno recuperato le antiche tradizioni popolari toscane e lo ripropongono in carta in divertenti rivisitazioni.
Proprio grazie  a queste frequentazioni mi sono appassionata al cosiddetto Quinto Quarto. E pensare che quando sono "scesa" in Toscana, facevo la schizzinosa davanti alla trippa però mangiavo la lingua. Dopo poco tempo, ho rotto gli argini e ora il mio palato avventuroso fa concorrenza ai giapponesi!!


Ingredienti per 8 arancine di ca 6-7 cm di diametro

lampredotto g 300
riso carnaroli g 200
mezza carota, mezzo gambo di sedano
 1 scalogno, 2-3 chiodi di garofano, un ciuffo di prezzemolo
1,5 l d'acqua
4-5 foglie tenere di cavolo nero
sale, olio extra vergine d'oliva Toscano qb
+ farina e acqua  e pan grattato per la lega e la panatura
2 l di olio extra vergine d'oliva dal gusto delicato  per friggere

Il lampredotto che si trova comunemente  in commercio è pre-cotto, per  fare il brodo l'ho tuffato nell'acqua con le verdure e gli odori, un pizzico di sale e l'ho fatto sobbollire coperto per 30 minuti. L'ho spento e l'ho lasciato a bagno  per un giorno intero perché il riso viene meglio se cotto nel brodo del lampredotto del giorno prima, come mi insegna un amico trippaio.
Ho scolato il lampredotto, portato a bollore il brodo rimasto, che si è ridotto  a 1 litro circa, ho cotto il riso nel brodo  12 minuti (la cottura completa prevista è 20)  fino a completo assorbimento del liquido, in modo che mantenesse tutta la collosità sia del grasso del brodo che dell'amido del riso. Ho mantecato solo con un poco d'olio evo. Ho fatto raffreddare immergendo la pentola in una bacinella con acqua e ghiaccio e poi ho passato in frigorifero per qualche ora.
Nel frattempo ho pulito il lampredotto, levando la parte grassa, quella bianca, l'ho tagliato a striscioline e l'ho rosolato con un po' di scalogno, olio evo e il cavolo nero tagliato a  striscioline.
Ho composto le arancine farcendole con il ragù di lampredotto e cavolo.
Le ho passate nella lega preparata con acqua e farina e poi panate nel pan grattato e fritte due-tre alla volta, in abbondante olio extra vergine d'oliva  riscaldato e mantenuto tra i 160 e  180° (basta premunirsi di un termometro per alimenti).
 









lunedì 5 dicembre 2016

IL PONCE LIVORNESE



Nel giorno di apertura della settimana nazionale del caffè, secondo il Calendario del Cibo Italiano Aifb, a cura di Mai Esteve, blog Il Colore della Curcuma, dedico il mio  contributo ad un caffè speciale, poco conosciuto oltre i confini originari livornesi e toscani: il ponce, un caffè espresso zuccherato, "fortificato"  da una miscela di (finto) rum e liquore all’anice, completato da una scorza di limone, detta "la vela".
Ma non chiamatelo “caffè corretto”, giammai, il ponce è il ponce. Stop. Uno dei capisaldi della verace gastronomia labronica. Ha una forte connotazione identitaria e fiera come forte e fiero e fantasioso è il carattere dei livornesi, perché solo a Livorno poteva nascere! 

Forse non tutti sanno che,  pare che il primo porto italiano dove sia sbarcato il caffè, uno dei simboli della gastronomia italiana, fu  Livorno. E, secondo alcune autorevoli fonti,  anche la prima Bottega del caffè  nacque probabilmente proprio a Livorno, e non a Venezia come le cronache hanno diffuso, nei primi decenni  del 1600,  grazie agli ebrei sefarditi in fuga da Spagna e Portogallo, i quali, a causa delle persecuzioni razziali,  trovarono rifugio a Livorno, città medicea in pieno sviluppo, modello civile di tolleranza e porto aperto a tutti i perseguitati del Mediterraneo, già  a partire dal XVI secolo.

Gli ebrei portarono con sé anche un altro prodotto che diventerà basilare nella nascente gastronomia livornese e grande protagonista della cucina italiana: il pomodoro, la cui coltivazione si sviluppò successivamente al sud ma questa è un'altra storia..... 

Col caffè a Livorno fanno dunque  il "ponce", un caffè espresso, servito in un caratteristico bicchierino di vetro, zuccherato e corretto con un misto di rum e liquore all'anice detto  mastice, con l'aggiunta di una scorza di limone detta vela, una bomba alcolica per aiutare la digestione dopo abbondanti libagioni, non adatto agli "stomachi deboli" di artusiana memoria.




Ponce quasi sicuramente deriva  da  punch che a sua volta prende origine dal termine sanscrito pancha, cioè pugno, formato dalle cinque dita della mano, quindi sinonimo anche di cinque elementi, che compongono originariamente infatti il punch inglese. E il ponce livornese ha proprio la forza di un pugno e i suoi ingredienti sono proprio cinque: caffè, zucchero, rumme, limone, mastice o sassolino. 

Il termine punch fu  volgarizzato  in ponce dai rudi portuali che nel XVII secolo,  in seguito alla scoperta di questa nuova bevanda introdotta dai marinai inglesi, sostituirono il tè all'uso britannico, con il caffè perchè col tè "noi ci si fa i gargarismi" sghignazzavano i portuali livornesi!  Inoltre il rhum inglese divenne, secondo la pronuncia vernacolare labronica, rumme; nella pratica, non è un vero rum delle Antille ma un rum di fantasia, costituito da alcol, zucchero, caramello scuro.


Un'altra ipotesi sull'origine del ponce,  ma ha più il sapore della leggenda, è legata alla storia di un vascello proveniente dalle americhe, che approdò a Livorno mal messo a causa di una burrasca in mare. Trasportava balle di caffè e barilotti di rhum che durante il fortunale si erano rotti riversando il contenuto sulle balle di caffè, rovinandolo e annullandone il valore commerciale.
Le balle di caffè, irrimediabilmente sciupate, furono svendute  sulle banchine del porto.
I portuali, che il caffè se lo sarebbero potuto solo sognare, colsero l'occasione al volo e scoprirono quanto di buono c'era in quella strana mescolanza!

Quale che fosse la vera origine, l'uso del ponce si diffuse velocemente e cominciò ad essere servito anche nei pubblici esercizi, dove per sopperire alla mancanza di igiene, si usava passare una buccia di limone sul bordo del bicchiere. Ahimé, al termine dell'operazione in qualche modo "disinfettante", la buccia veniva buttata nella bevanda calda!
La buccia di limone prese il nome di vela ed è rimasta in uso.

Il ponce Vittori, inventore del rum fantasia

La versione diffusa tra Ottocento e Novecento prevedeva una preventiva bollitura del caffè macinato in una pentola piena d'acqua; da ciò si otteneva un infuso che veniva filtrato con un panno di lana e immesso nella caffettiera. Al caffè che usciva dalla macchina veniva poi aggiunto con un misurino il rumme e/o la "mastice", una versione del mistrà, liquore di semi di anice verde macerati in alcol.

Fino ai primi anni del Novecento, sia il rumme che la mastice erano generalmente fabbricate dal proprietario del locale nel proprio retrobottega, in quanto la legge lo permetteva. Nella sua versione originale, il ponce è praticamente scomparso negli anni cinquanta.

Ai giorni nostri, la preparazione del ponce, come comunemente si può osservare nei bar di Livorno e delle zone limitrofe, segue una procedura abbastanza consolidata: si utilizza un tipico bicchierino di vetro piuttosto spesso (localmente detto "il gottino"), leggermente più grande di quello che normalmente si usa per il caffè; si dosa lo zucchero e si aggiunge una scorza di limone (la "vela"); si versa il "rumme” o  un mix di "rumme e cognac" o "rumme e sassolino" (liquore all’anice, da Sassuolo): il giusto dosaggio del liquore si ottiene usando come riferimento il bordo superiore dei semicerchi che si trovano alla base del bicchiere. Quindi, con il beccuccio del vapore della macchina espresso, si porta la mistura ad ebollizione e, prontamente, si colma il bicchiere con un buon caffè ristretto.
Il ponce deve essere bevuto caldo bollente, dopo una rapida mescolata dello zucchero che non si fosse ancora disciolto.  Si consuma generalmente dopo pranzo o dopo cena, come “digestivo”

Varianti del ponce classico, nel passato, erano il "mezzo e mezzo", un caffè corretto con una mistura di rum e mastice, e il "ponce americano" aromatizzato all'arancia.
La torpedine è una versione "rinforzata" del ponce - si effettua aggiungendo alla polvere di caffè una punta di peperoncino.

ANEDDOTI E SPIRITO LIVORNESE:

Anche il poeta Giosuè Carducci era un estimatore del ponce come si evince da una sua lettera all’amico Nando: “assai di bianco, o Nando, assai di nero ponce bevemmo e con saper profondo, non lasciammo giammai tazza o bicchiero senza vedere il fondo”

Nel marzo del 1906 arrivò  in città il celebre Buffalo Bill con il suo circo e fu  accompagnato in un bar tipico ad assaggiare il ponce;  da buon americano spaccone, tentò  di berlo tutto d’un fiato ma fallì clamorosamente e lo finì a piccoli sorsi con i lucciconi agli occhi suoi (e di quelli che scoppiavano dal ridere guardandolo!)

C'è chi giura che anche  Garibaldi, passato frequentemente da Livorno, come testimoniano le molte targhe commemorative affisse su edifici cittadini , avesse assaggiato questa bevanda esclamando: "Buono! questo riscalda come il mio poncho".

Per fare due risate, cito una simpatica barzelletta livornese: una coppia con un bimbo in braccio di sei mesi si ferma al bar a prendere il ponce e ne dà una sorsata anche al bimbo. Il barista inorridito esclama "oh che fa? ni dà 'r ponce ar bimbo?" "deh! e dopo un cacciucco* che gli vòi dà? un bicchiere di latte?"
*famosa zuppa di pesce livornese molto piccante e agliata!!!

Un estratto dall’Elogio del ponce livornese di ALDO  SANTINI, uno dei massimi esperti di cucina e storia gastronomica livornese
   
Sulla  "Grande Enciclopedia Illustrata di Gastronomia", curata da Marco Guarnaschelli Gotti,  cercate ponce e troverete con notevole sorpresa la seguente nota: "voce dialettale toscana per punch".
E qui si accende una polemica ad alta gradazione alcolica. A parte il fatto che "ponce" è una voce livornese e che Livorno si trova in Toscana ma non ha niente del suo carattere e delle sue tradizioni, del suo temperamento, tant'è vero che i toscani sono di norma avari e i livornesi scialoni, i toscani nascondono i loro sentimenti dietro un sorrisino ipocrita e i livornesi dicono sempre quel che pensano, i toscani si sentono depositari di un'eccelsa cultura e i livornesi ostentano la loro ignoranza, a parte tutto questo, e il discorso potrebbe essere approfondito in altra sede, il ponce è legato al "punch" solo da un abbozzo di traduzione maccheronica.
…………………….
Il rum fantasia o rumme non nasce nelle isole caribiche ma è un'invenzione valorizzata soprattutto dai fabbricanti livornesi. E senza il rum fantasia non esisterebbe il ponce. Un'invenzione geniale, dunque. E insieme una birbonata. Mi spiego. Il rum fantasia è alcol più zucchero, più il caramello bruciato per dargli il colore cupo. C'è chi lo imbelletta con un'essenza di rum, un estratto, ma la fantasia rimane totale. E qui entriamo nel merito della disputa tra "punch" e ponce………….
Il genio (abbondo, lo so) dei livornesi, si espresse negli strati sociali meno alti, nel popolo e nel popolino, nelle botteghe dei caffè di via Ferdinanda e di piazza Grande. Genio e intelligenza. Orgoglio di campanile. Senso del risparmio, anche.
Perché copiare gli inglesi? Già allora non dovevano essere troppo simpatici, e guardavano di sicuro la gente comune dall'alto in basso, con la puzza sotto il naso, come diciamo noi livornesi. E perché spendere tanti quattrini nel rum importato dalle Antille via Londra? Il colpo di genio (continuo ad abbondare, ma l'esagerazione è una delle nostre caratteristiche da carta d'identità), fu quello di adottare un duplice provvedimento sostituendo, in una volta sola, il rum e l'acqua bollente (puah!). L'acqua bollente con il caffè e il rum delle antille, che non reggeva il peso del caffè, con il rum fantasia "made in Leghorn".
Una birbonata capace di illustrare da sola lo spirito di una città.

E il ponce si rivelò migliore del "punch"!


Aldo Santini, CUCINA LIVORNESE, Franco Muzzio Editore e IL PONCE LIVORNESE, Ed. Belforte
Wikipedia, che si rifa abbondantemente al Santini
La Livornina per la ricetta del vero ponce DOC
Una leggenda sulla nascita del ponce qui

Il tempio indiscusso del ponce a Livorno: il leggendario Bar Civili via del Vigna, 35 Tel. 0586408170




giovedì 10 novembre 2016

IL TIRAMISU' DI JESSICA RABBIT PER L'MTC N 61



Eppure non abbiamo fatto niente di male!
Questo incipit sarà probabilmente uno dei più copiati della storia dell'Mtc; anzi, potrebbe diventare un vero tormentone. Lo recita come un mantra, coniugato alla prima persona singolare,  Susy May, alias Coscina di pollo nel suo simpaticissimo post per introdurre le  sue tapas aliene, risultate  vincitrici della sfida di ottobre, ispirate a Star Trek, scaturite grazie ai suggerimenti del marito, detto Cosciotto. Post esilarante che consacra  la coppia come i più fuori di melone della nostra Community!!
E con due pazzi scatenati, goliardici, divertenti, comico-fumettistici come loro, con quei soprannomi che già scatenano ilarità, non si poteva che buttarla sul faceto perché comunque dietro c'è ragionamento e impegno. Far ridere non è roba da poco!!


Appena annunciato  il tema dell'Mtc n. 61, il tiramisù, proposto dunque da Susy May e avendo letto sommariamente il regolamento che poneva la condizione di legare il tiramisù ad un riferimento cinematografico o ad un'icona sexy del cinema mondiale, avevo capito "cinematografico" in genere o, nello specifico,  "riferimento ad un'icona sexy" e la prima idea che si era conficcata fulminea nella mia testa, da dedicare alla pazza coppia,  era stato un tiramisù Ace Ventura, ispirato cioè ad un fuori di zucca unico come  Jim Carrey che sicuramente il duo coscioso avrebbe apprezzato. Va da sé che avrei giocato con Ace = succo vitaminico Ace, carote, limone e arancia.


Dopo vari dubbi e relativi chiarimenti, grazie al filo diretto, devo abbandonare a malincuore la prima idea perché comprendo che il tema è solo quello sexy e Jim Carrey è tutto tranne che sensuale o conturbante e voluttuoso come un tiramisù!!

Però mi si accende subito la seconda lampadina perché non volevo rinunciare all'idea vitaminica e al colore arancio. E allora penso ad una bomba sexy dai capelli color carota, che è pure un fumetto, perfetto dunque per i cosciotti! Jessica Rabbit!


Mannaggia però, credevo di avere avuto un'ideona e invece Francesca Carloni, Ricette e Vignette, mi ha battuta sul tempo. Anche lei ha proposto un tiramisù ispirato a Jessica Rabbit!! Le nostre interpretazioni sono diverse ma lo spirito goliardico è lo stesso e lei sa pure disegnare vignette spassosissime!!  E poi ormai l'ho fatto e mi è piaciuto molto, lo pubblico!!


Interpretazione sexy ironica:
Jessica Rabbit - bomba sexy caricaturale (chiaramente ispirata all'indimenticabile rossa atomica, ovvero la sensualissima Gilda-Rita Hayworth)  = tiramisù bomba, supervitaminico, oltre che calorico!
Roger Rabbit - coniglio - carota (fa ridere e stop,  senza spiegazioni) - capelli di Jessica rosso arancio e l'arancia c'è, oltre alla carota!!
Sexy con ironia dunque, perché il sexy tout court è drammatico. Un pizzico di ironia nel gioco di seduzione è il massimo.
Servirò il tiramisù in una coppa da vino rosso importante, tonda e voluminosa come le forme della diva di cartone.
E per l'ambientazione fotografica,  copio Susy e apro il cassetto dell'artiglieria pesante, ovvero i classici  strumenti femminili di seduzione come il bustier che ricorda l'abito di Jessica e i lunghi guanti di raso che qualche emmeticina attenta riconoscerà.  

Ed ecco il mio TIRAMISU' DI JESSICA RABBIT tra foulard di seta, bustier, guanti di raso e catena (finta) Chanel


Ingredienti per due coppe

Per la crema di mascarpone
300 g di mascarpone
2 uova cat A, medie, d'allevamento biologico
40+20 g di zucchero semolato
acqua, succo di limone

Per il succo Ace
300 g di carote biologiche
200 g di arance navel non trattate
1 gambo  di lemon grass

Per le scorze d'arancia candite:
le scorze  delle arance utilizzate per il succo
sciroppo di acqua e zucchero 2:1

Per comporre e guarnire:
8-10 savoiardi
mandorle pelate
50 g di cioccolato bianco
ciuffi di finocchietto selvatico*

* ispirato ad un dolce di Cristiano Tomei, chef dell'Imbuto di Lucca: arancia, cioccolato bianco e finocchietto selvatico

Ho utilizzato i savoiardi già pronti e non mi sono cimentata nella preparazione del mascarpone, magari mi riservo di provarci per la seconda proposta. In compenso, ho sperimentato la pâte à bombe e la meringa, entrambe col sistema svizzero, descritte da Bressanini nel suo libro La Scienza della Pasticceria, per pastorizzare le uova, non volendo rischiare a consumarle crude. Meringa Svizzera, leggi articolo on line.

Ma la mia piccola grande soddisfazione è stata quella di utilizzare finalmente la centrifuga, accessorio del robot Kenwood che mi ero regalata nel 2012, quando ho traslocato nella casa nuova, che giaceva nella dispensa ancora incartata, come anche l'accessorio  tritacarne. Più che altro riuscire a montare l'aggeggio infernale è stato un successo, così come veder sgorgare miracolosamente il succo di carota! Ma perché non l'ho mai fatto prima??? Vergognoso vero? Ora, centrifughe a gogo!


Per prima cosa ho preparato le scorze d'arancia candite facendo sbollentare per tre volte le scorze tagliate a tocchetti in acqua, cambiando l'acqua ogni volta, infine le ho candite in uno sciroppo fatto con due parti d'acqua e uno di zucchero, fino a quando lo sciroppo iniziava a schiumare. Le ho prelevate con una pinza e le ho messe su un piatto a raffreddare.

Poi ho affrontato la mia prima pâte à bombe e la meringa, entrambe svizzere (so fare solo la meringa all'italiana). Seguo passo passo le istruzioni del libro citato, dimezzando e diminuendo leggermente le dosi indicate. Peso 30 g di tuorli, 40 di zucchero e 20 di acqua.
Metto tutti gli ingredienti in una bastardella d'acciaio, l'appoggio su una pentola riempita d'acqua in modo che l'acqua non arrivi a toccare il fondo della bastardella. Porto ad ebollizione e monto con la frusta elettrica controllando la temperatura del composto con il termometro ad immersione. Mi fermo a 85° C, trasferisco la boule in un bagno di acqua e ghiaccio e continuo a montare fino a raffreddamento. Ottengo una crema bella compatta, non credo ai miei occhi. Non resisto a leccare le fruste, ovviamente.  Copro con pellicola e ripongo in frigorifero.
Per gli albumi,  stesso procedimento a bagnomaria ma cambiano le proporzioni e la temperatura:  20 g di albumi, 20 g di zucchero, qualche goccia di succo di limone. Si monta fino a 70° C e si mantiene per alcuni minuti.  Bressanini sostiene che il sistema svizzero, oltre ad essere più facile rispetto alla meringa all'italiana, permette una distribuzione più uniforme del calore ed offre un risultato più sicuro.
Incorporo meringa e  pâte à bombe  al mascarpone, copro con pellicola e ripongo in frigorifero.


Centrifugo le carote pelate  con il lemon grass, mondato e tagliato a tocchetti. Spremo l'arancia e miscelo i succhi. Senza zuccherare.

Preparo il set e faccio le prove con la coppa vuota e poi riempio la coppa con un primo strato di savoiardi, spezzati per adeguarli alla misura del bicchiere, bagnati nel succo Ace, poi uno strato di crema, cospargo un po' di mandorle tritate grossolanamente, un pochino di finocchietto sfogliato e alcune scorzette, poi altro strato di mascarpone, savoiardi crema, ancora mandorle, finocchietto e l'ultimo strato di mascarpone. Spolvero la superficie con cioccolato bianco grattugiato, scorza d'arancia fresca tritata finissima al coltello e ancora poco finocchietto tritato.


SLURP SLURP E TRIPLO SLURP!!!! Non preparavo un tiramisù da anni. E' stata una gioia farlo e mangiarlo e mi ha acceso degli amarcord, te pareva.....a questo giro pensavate che li avremmo risparmiati? E no, questo soprattutto sul finale, non ve l'aspettavate eh?
Ebbene, anche se non è fra i miei dessert preferiti e non lo facevo da anni, ricordo bene quando si iniziava a sentirne parlare sul finire degli anni 70-primi anni '80, quindi tra i 16 e i 20 anni circa. La mia amica Anna era l'artista del Tiramisù, infatti l'ho interpellata subito in merito alla diatriba pavesini/savoiardi perché mi sembrava di ricordare che nella sua versione ci fossero i pavesini. Ricordavo bene, Anna è stata categorica: pavesini tutta la vita, e non è vero che si ammosciano, bisogna saperli inzuppare, passaggio veloce così non si impregnano troppo.
Ricordo che noi avevamo avuto notizie di questa nuova ricetta da una signora veneta, la quale vantava con orgoglio la paternità del dolce attribuita alla sua regione.
Non mi sono mai sognata di informarmi ma ho letto alcuni cenni storici in qualche recentissimo commento di Anna Maria Pellegrino, che la fonte veneta che conoscevo era corretta e ho approfondito.

Cit. Wikipedia/L'espresso Food&Wine/La Tribuna di Treviso:

L'esperto enogastronomo Giuseppe Maffioli, nella rivista "Vin Veneto: rivista trimestrale di vino, grappa, gastronomia e varia umanità del Veneto" del 1981, storicizza la preparazione del dolce verso la fine degli anni Sessanta, localizzandolo presso il ristorante "Alle Beccherie" di Treviso, gestito dalla famiglia Campeol, ad opera di un cuoco pasticcere che aveva lavorato in Germania, Roberto "Loly" Linguanotto, il quale voleva ricreare delle tipologie di dolci visti nella sua esperienza all'estero.
Se non ci sono dubbi sulla paternità trevigiana, ci sono altre teorie e storie relative ai veri inventori qui anche se la maggior parte dei testi conferma Alle Beccherie.
Il nome del dolce, "tirimisù", poi italianizzato in "tiramisù", sarebbe stato adottato per le sue capacità nutrizionali e ristoratrici, anche se altri affermano maliziosamente che il nome sia dovuto a presunti effetti afrodisiaci. Maffioli identificava il tiramisù fra i dolci al cucchiaio di stampo asburgico, anche se, sostanzialmente, lo definiva come una variante della zuppa inglese (e qui si tira in ballo anche la Toscana dunque).
La sua diffusione, grazie alla sua bontà e facilità di esecuzione,  è stata rapida in tutta Italia e in seguito nel mondo!
E per quanto riguarda la sua origine "Vox populi e ortodossia, leggenda e crismi ufficiali montano come l'uovo sbattuto: un mistero ancora da esplorare"

Foto dopo qualche cucchiaiata di puro godimento, coi bordi del bicchiere sporchi ma con la giusta  consistenza della crema, avvolgente e voluttuosa come dev'essere: bastava aspettare che si "sedesse" un po' nel bicchiere!














lunedì 31 ottobre 2016

IL PANE DEI MORTI MILANESE IN UNA PERSONALE VERSIONE



Halloween sta soppiantando le nostre tradizioni? In molti ci si chiede che bisogno ne abbiamo; ci infastidisce sicuramente questo seguire le mode d'importazione, dettate dai trends commerciali globali. Eppure molte usanze italiane legate alla festa dei morti e dei santi, presentano delle similitudine con Halloween e  affondano le proprie radici in un lontano passato pagano, risucchiato poi dal cristianesimo.

Il calendario del cibo italiano Aifb contribuisce a fare  chiarezza in materia, grazie al contributo di due ambasciatrici eccellenti quali  Alessandra Gennaro del blog An old fashioned lady e Susanna Canetti del blog  Afrodita's kitchen , che, per la settimana della commemorazione dei defunti,  ci aiutano a comprendere e a non dimenticare  questa usanza millenaria e ci invitano a  scoprire, o a riscoprire,   tutto ciò che ha ispirato, a livello gastronomico, nella tradizione regionale italiana.

E ci voleva proprio il calendario Aifb per indurmi a cimentarmi nella preparazione di un dolce della tradizione milanese, denominato "pane dei morti", che non assaggio da anni ma ne ricordo perfettamente la fragranza, come  la morbidezza della pasta e l'intenso gusto speziato.

Più che un pane, è un  biscotto gigante a forma ovale, con una consistenza vagamente morbido/spugnosa ma abbastanza croccante esternamente, preparato essenzialmente con avanzi di biscotti secchi, cacao, spezie e frutta secca.

Sono, probabilmente, da ricercare nella cultura contadina le origini delle credenze popolari legate alla commemorazione dei defunti. In Lombardia, e soprattutto nella zona di Milano, si riteneva che, ogni anno, con la stessa ciclicità del lavoro sui campi, le anime dei cari estinti si ripresentassero nelle loro case abbandonando temporaneamente l'oltretomba. Per offrire loro ristoro e per render loro omaggio durante queste visite, si era soliti preparare del pane dolce da mettere in tavola come se i defunti dovessero accomodarsi assieme ai loro parenti ancora in vita. La ricetta che veniva preparata per l'occasione, non a caso, veniva, e viene ancora, chiamata Pane dei Morti, una sostanziosa prelibatezza a base di biscotti secchi sbriciolati, cacao e frutta secca. I soli ingredienti evocano l'evidente necessità di ricavare un alimento nutriente utilizzando ciò che si trovava in casa e, come spesso avviene per numerosi piatti della tradizione povera, il risultato era comunque estremamente gustoso. Nel corso del tempo anche la ricetta del Pan dei Morti, come molte altre dalle origini simili, ha subito delle modifiche adattandosi ai gusti e agli ingredienti reperibili durante i diversi periodi storici, ma l'idea di fondo è rimasta la stessa ed oggi, nel Milanese, questi panini sono diventati il dolce tradizionale del 2 novembre ed anche dell'ormai gettonatissima festa di Halloween.
Cit: Turismo.it

Nel mio paesello di circa cinquemila anime, Boffalora S/Ticino, in provincia di Milano, c'era un solo pasticciere e tre  panetterie ma il pane dei morti di Remo, il pasticciere, era insuperabile. Qualcuno lo chiamava anche "osso dei morti" e, anche se mi faceva un po' impressione, da bambina, attendevo il periodo dei morti per farne grandi scorpacciate perché ne ero ghiotta!

Ora che mi sono decisa a fare questi dolcetti, purtroppo non ho potuto chiedere a Remo la sua ricetta o qualche trucco prezioso, perché il pasticciere è scomparso da molti anni. Ho cercato sui libri e su internet e poi ho elaborato la mia versione inserendo un ingrediente che non ho trovato in nessuna ricetta. Volevo personalizzarla in virtù di una tradizione famigliare che, in realtà non c'è, ma offre un semplice richiamo a un dettaglio che mi rivelò mia nonna paterna Maria,  tanti anni fa, a proposito della torta di pane, altro classico milanese, basato sul riciclo del pane vecchio, che si trasformava in un dolce ricco e goloso con l'aggiunta di cacao, zucchero, amaretti, uvette, latte, uova e.....a quanto mi rivelò la nonna, anche delle mentine tritate!!!  Ingrediente segreto che, a sua volta, aveva appreso dal vicino, soprannominato "Bigiu", il quale era del paese accanto, Bernate Ticino, acerrimo rivale del nostro naturalmente; infatti la nonna prendeva in giro questa bizzarra aggiunta nella torta di pane ma intanto ce la infilava e questo trucchetto  conferiva al dolce un tocco speciale!!

Ed ecco il mio pane dei morti con l'aggiunta delle mentine che mi ha risvegliato amarcord dolcissimi e di cui sono felice perché ho ritrovato quei gusti che sognavo da tempo:


Ingredienti per 12 pezzi

100 g di farina 00
80 g di miele d'arancia (o altro miele solido)
80 g di amaretti
50 g di farina di mandorle
30 di mandorle
30 g di uvetta sultanina
30 g di scorze d'arancia candita
20 g di cacao amaro
7-8 mentine ridotte in granella
(quelle zuccherine bianche, tipo "il buco con la menta intorno")
2 albumi
3 g di lievito istantaneo per dolci
1 cucchiaino di chiodi di garofano in povere
1 cucchiaino di cannella in polvere
1/2 cucchiaino di noce moscata
(vino liquoroso)
zucchero a velo qb

Mettere a mollo l'uvetta nel vino liquoroso. Setacciare la farina con la farina di mandorle, il cacao e il lievito. Aggiungere gli amaretti ridotti in polvere, le mentine tritate e le spezie, incorporare gli albumi e infine le uvette sgocciolate, le mandorle tritate grossolanamente e le scorze d'arancia. Impastare gli ingredienti, formare un panetto di circa 7-8 cm di larghezza,  tagliare delle fette, nel senso della larghezza, di un centimetro circa di spessore. Posizionare le fette su una teglia coperta di carta da forno, cercando di dare con le mani una forma ovale, cuocere in forno a 180° C per 20 minuti. (andrebbero poi adagiati su ostie ma non le ho trovate)
Lasciar raffreddare, servire cospargendo con abbondante zucchero a velo

NB: oltre alle mentine, alcune mie personali varianti sono state anche: il miele al posto dello zucchero e la farina di mandorle.












domenica 19 giugno 2016

PANZANELLA AGRO DOLCE MORBIDA E CROCCANTE E IL SUO SORBETTO



Singolare, colorata, fresca e briosa, un vero must dell'estate, la panzanella, insieme alla pappa al pomodoro, crostini e zuppe, è fra le  ricette cardine della tradizione rurale toscana che riutilizza il pane "posato", cioè raffermo.
Una vera insalata di pane, ammollato e poi strizzato, arricchita da pomodori, cetrioli, cipolle, basilico, condita con robusto olio extra vergine d'oliva, toscano naturalmente, aceto, sale e pepe.

Per la giornata nazionale della panzanella secondo il Calendario del Cibo Italiano Aifb, ne è ambasciatrice Marina Riccitelli del blog Meri in cucina

Un paio d'anni fa, fui invitata a partecipare ad un simpatico contest legato all'Expo Rurale di Firenze, in cui lo chef testimonial dell'evento, Marco Stabile dell'Ora d'Aria di Firenze, lanciò una vera sfida sulla panzanella: bisognava reinterpretare/rivoluzionare il grande classico toscano. 
Ricordo che mi sbizzarrii in ben quattro versioni e una di queste si aggiudicò il titolo di vincitrice perché rivoluzionava ma non snaturava il gusto e la sostanza della preparazione classica;  l'ho pertanto ritenuta degna da riproporre per questa giornata:

LA PANZANELLA AGRO DOLCE MORBIDA E  CROCCANTE E IL SUO SORBETTO


Mi sono  divertita semplicemente a scomporre e rielaborare un poco gli ingredienti classici. Il pane è sia ammollato e strizzato come nella versione canonica, sia croccante.  I petali di cipolle rosse di Certaldo sono in agrodolce, scottati con aceto di mele, sale e zucchero; i pomodorini li ho semi-canditi in forno, il  cetriolo è lasciato al naturale e il basilico è ridotto in emulsione con l'olio extravergine d'oliva. Non contenta,  siccome immaginavo che il gusto finale sarebbe stato più morbido dell'originale, per rinforzare il tutto e non rinunciare al gusto deciso della panzanella classica, ho frullato tutti gli stessi ingredienti a crudo, uniti ad una base di meringa italiana, poi passato in freezer et voilà il sorbetto di panzanella che sottolinea  l'impronta estiva del piatto.

Ingredienti per 2 personePer la Panzanella morbida e croccante

200 g di pane toscano dop
3 pomodori piccoli ben maturi, tipo piccadilly
1/2 cetriolo
1/2 cipolla media di Certaldo
Aceto di mele, sale, zucchero semolato, qb
Olio extravergine d'oliva Lazzero ( monovarietale molto profumato e di grande carattere, con note di oliva verde e profumi di macchia mediterranea, equilibrato e delicatamente pungente)
un mazzetto di basilico fresco non trattato

Per il sorbetto

1 albume d'uovo bio, grande
30 g di zucchero semolato
30 ml d'acqua
80 g di pomodori piccadilly ben maturi
40 g di cetriolo
30 g di cipolla fresca di Certaldo
3-4 foglie di basilico fresco non trattato
30 g di pane casalingo posato senza crosta
2 cucchiai di olio extra vergine d'oliva Lazzero
1 cucchiaio scarso di aceto di mele
1/2 cucchiaino di sale

Partiamo dai pomodori canditi: tagliarli a metà dopo averli lavati, cospargerli con pari quantità di zucchero e sale, irrorarli d'olio, disporli su una teglia e farli candire in forno a 100° C per ca 45-60 min

Nel frattempo avviamo il sorbetto. Mettiamo l'acqua e lo zucchero in un pentolino, facciamo sciogliere portando a 121° C, contemporaneamente azioniamo le fruste per montare l'albume  fino ad una consistenza media. Aggiungere a filo lo sciroppo cercando di versarlo sulle pareti della ciotola e non direttamente sull'albume, continuare a montare fino a che il composto sarà raffreddato e rassodato completamente.
Mettere nel bicchiere del frullatore tutti gli altri ingredienti per il sorbetto: pomodori a tocchetti, cipolle affettate, cetrioli pelati e affettati, basilico, pane a tocchetti, olio, aceto e sale e frullare fino ad ottenere una purea.
Raccogliere 2 generose cucchiaiate di purea ottenuta, trasferirla in una ciotola e amalgamarvi delicatamente 3 cucchiaiate altrettanto generose di meringa. Mantecare nella gelatiera o in assenza di questa, riporre in freezer in un contenitore coprendo con della pellicola a contatto con il composto. Dopo un paio d'ore, togliere dal freezer e frullare con un frullatore ad immersione. Rimettere in freezer, lasciar indurire completamente e ripetere l'operazione al momento di servire, si otterrà un sorbetto molto cremoso.

Petali di cipolle: Ricavare delle fette di ca 1 cm di larghezza dalla mezza cipolla, staccarle ottenendo dei petali.  Portare a bollore in un pentolino due dita  di acqua e aceto di mele, un pizzico di sale e zucchero, sbollentare i petali di cipolla per 30-40 secondi, scolare e lasciar raffreddare.

Emulsione d'olio al basilico: frullare una manciata di foglie di basilico con una cucchiaiata di acqua ghiacciata o scagliette di ghiaccio (il ghiaccio serve a non far annerire il basilico ed ottenere un bel verde brillante) e olio evo fino ad ottenere un'emulsione omogenea e versarlo in un biberon da cucina.

Panzanella morbida e croccante: ammollare 3/4 del pane e poi strizzarlo molto bene e sbriciolarlo. Condirlo con parsimonia con  olio Lazzero, aceto di mele e sale; il condimento sarà poi rafforzato dal sorbetto
Tagliare il restante pane a dadini e rosolarlo in padella con un filo d'olio, regolando di sale.

Cetriolo : con un riga limoni incidere la buccia ben lavata del cetriolo, tagliarlo poi a rondelle e ancora a spicchi

Composizione: creare una linea nel centro di  un piatto rettangolare con la panzanella morbida, alcuni dadini di panzanella croccante, guarnire con  i petali di cipolle, i pomodori canditi, gli spicchi di cetriolo. Lasciar cadere qualche goccia di emulsione di olio e basilico sulla panzanella. Completare con delle palline o quenelles di sorbetto. E buon divertimento!



sabato 21 maggio 2016

CUORE MATTO, CHEESECAKE AGRODOLCE E SPEZIATO


Dopo un cheesecake dolce e uno salato, ecco l'agrodolce speziato. La mia terza e ultima proposta per l'Mtc n. 57, la sfida di questo mese sui cheesecake, lanciata da Anna Luisa e Fabio del blog Assaggi di viaggio. Non mi mancherebbero idee per produrne altri ma i limiti della sfida ci impongono di fermarci a tre proposte!
Perché "cuore matto"? perché sono cuori ingannevolmente dolci e romantici ma in realtà infuocati e   piccanti! Rosso fuoco, rosso passione, amore, piacevole follia! Un Cuore Matto, Little Tony

L'ispirazione mi è venuta sfogliando una rivista di qualche mese fa, esattamente di febbraio,  quando, per San Valentino, è un tripudio di cuoricini ovunque; avendo già proposto una versione dolce e una salata, ci voleva una via di mezzo e il rosso dei cuoricini degli innamorati mi ha fatto venire in mente una confettura di peperoncini agrodolce e piccantina fatta ad ottobre di cui forse avevo ancora un vasetto.....
.

di conseguenza ho costruito tutto il resto: base di biscotti secchi masala mix (mix vagamente ispirato alla masala chai bittersweet chocolate and pear tarte di Alessandra ) e crema di formaggio con robiola, yogurt greco e lemon grass (recente omaggio della stessa Alessandra, come il green chilli, vedi Curry  verde d'asparagi e cozze) per un insieme molto profumato, agrodolce speziato e piccante che mi piaceva in teoria e poi nella pratica si è rivelato una bomba. Forse il migliore dei tre!


Ingredienti per 2 cuori diametro 7 e 5 cm, h 5

Biscotti secchi:
180 g di farina 00
1 cucchiaio di spezie miste in polvere
(cardamomo, zenzero, coriandolo, cannella, chiodi di garofano, anice stellato, carvi, pepe nero)
60 g di burro
1 uovo intero
70 g di zucchero di canna biondo
Scorza gratuggiata di 1/2 limone non trattato
un pizzico di sale

Per il masala mix ho miscelato alcune spezie già in polvere con  altre polverizzate al momento come cardamomo, chiodi di garofano, anice e pepe, secondo il  mio gusto personale. Dominano  cardamomo e cannella per un risultato fresco e profumatissimo.  Mescolare la farina con le spezie, lo zucchero e il pizzico di sale, formare  una fontana sulla spianatoia, aggiungere il burro e l'uovo, la scorza di limone e impastare. Far riposare in frigorifero coperto da pellicola per mezz'ora. Stendere col mattarello in uno strato di 3-4 mm, incidere la sfoglia con una rondella taglia pasta in modo da ricavare dei  quadrati o rettangoli. Cuocere in forno preriscaldato a 180° C per 10-12 minuti.

Base cheesecake:
40 g di biscotti
20 g di burro

Tritare al mixer i biscotti. Impastare con il burro fuso tiepido. Riempire con il composto la base degli stampi. Passare in frigorifero a rassodare.




Confettura di peperoncini *


1 kg di polpa pulita di peperoncini rossi tondi dal piccante delicato
250 g di zucchero di canna chiaro
1/2 bustina di pectina per 1 kg di frutta
una spruzzata di aceto di mele
acqua qb

* realizzata ad ottobre 2015: ho messo la polpa dei peperoncini in una casseruola con lo zucchero, ho fatto sciogliere lo zucchero a fuoco dolce, poi ho alzato la fiamma, ho sfumato con una spruzzatina di aceto, lasciato evaporare, allungato con un po' d'acqua e fatto cuocere dolcemente con coperchio per 15-20'. Infine ho unito la pectina, frullato il tutto, riportato a bollore per altri 10'. Ho sterilizzato i vasetti e i coperchi in forno a 180° C per 6-7', li ho colmati con la confettura calda, chiuso i coperchi e atteso che si formasse il vuoto. (se ciò non dovesse avvenire, si riaprono i vasetti colmi, si mettono un minuto nel microonde a potenza massima, si ritappano cambiando coperchio e se non funziona ancora, si consumano subito, si conservano in frigorifero per un paio di settimane) 


Crema di formaggio

60 g di robiola vaccina
30 g di yogurt greco
20 ml di latte
4 g di colla di pesce in fogli
1 cucchiaino di lemon grass in polvere
1 cucchiaino di zucchero a velo

Mettere a bagno la colla di pesce in acqua fredda, quando sarà morbida, strizzarla bene e scioglierla nel latte caldo, in cui avrete stemperato  il lemon grass in polvere. lasciar intiepidire e infine amalgamare la gelatina sciolta con la robiola vaccina e lo yogurt, addolcire con lo zucchero a velo.
Versare il composto negli stampini sopra alla base di biscotti e mettere in frigorifero a rassodare.
Completare il cheesecake livellando, sopra al formaggio, uno strato di 5-6 mm di confettura di peperoncino. Passare in freezer 20-30 minuti in modo che si compatti bene e si riesca a sformare senza sbavature. 

Una volta sformati attendere che la temperatura si rialzi prima di consumarli perché se sono troppo freddi i profumi vengono penalizzati e la confettura deve ritrovare la sua giusta consistenza.

E ora litigate pure per chi si accaparra il grande e chi il piccolo......










venerdì 20 maggio 2016

INSALATA DI ERBE E FIORI DI CAMPO PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO AIFB




Quasi a conclusione di questa splendida settimana dedicata ai fiori e alle erbe spontanee per Il Calendario del Cibo Italiano Aifb di cui è perfetta ambasciatrice la bravissima Cinzia Donadini del blog Essenza in Cucina, eccomi con una proposta realizzata ad hoc e alcune idee ripescate nei miei blog per cucinare con fiori ed erbe spontanee  che è un argomento che mi appassiona moltissimo, al di là della moda del momento. E' una sapienza antica che non può andare dispersa!

Ho imparato a riconoscere le erbe frequentando il mercato dove alcune donnine portavano nelle ceste le erbe miste di campo, me le facevo spiegare e con i campioni andavo per campi, le confrontavo e così mi fidavo a raccogliere. Non ultimo, proprio recentemente, ho seguito con un gruppo di amici composto da  uno chef e parte della sua brigata, un mini corso sulle erbe spontanee, tenuto da una botanica, con esperienza di raccolta e raffronto sul campo, nel vero senso della parola. Sì, perché la raccolta di erbe selvatiche, così come i fiori eduli,  è una cosa seria, bisogna fare molta attenzione, bisogna affidarsi a chi le conosce bene; ce ne sono di molto simili fra loro che si confondono facilmente e alcune sono tossiche se non addirittura velenose, quindi GRANDE CAUTELA! Io, quando sono nel dubbio, non mi arrischio. Inoltre bisogna anche stare attenti ai luoghi dove si raccolgono, mi sembra superfluo sottolineare che non si raccolgono ai margini di strade o lungo fossi che possono essere inquinati, nè tanto meno vicino a campi coltivati dove possono essere stati fatti trattamenti chimici. L'ideale è la macchia, lontana dal tessuto urbano, coi suoi prati selvaggi e incontaminati (o almeno si spera)
Lungi dall'essere un'esperta, sto sempre studiando ma insomma, ne conosco abbastanza da usare in cucina.


Nella foto, alcune erbe "dolci" per comporre una delicata misticanza a cui aggiungere anche fiori colorati e saporiti. La pimpinella ha un delizioso sentore di noce, impreziosisce da sola qualsiasi insalata. Mancano nella foto mentuccia e foglioline di bellis perennis, le comuni pratoline dalle foglie grassocce e succose che ho unito all'insalatina.  Un'insalata che offre una complessità gustativa che si rinnova ad ogni boccone, divertendo il palato. 
In mancanza di insalatine di campo, ci si può divertire ad arricchire con note aromatiche le nostre insalate comuni aggiungendo le classiche erbe aromatiche come menta, basilico, origano fresco, erba cipollina, timo al limone secondo il proprio gusto. Si fa presto a dire insalata vero?

Il bouquet di maggio offre fiori di trifoglio, cardo selvatico, sulla, piselli, ombrellino dei prati, senape selvatica


Ed eccoli tutti insieme allegramente, ben lavati con acqua e bicarbonato e sciacquati ripetutamente con acqua corrente e ben scolati. Conditi a piacere con buon olio extravergine d'oliva Toscano, dal carattere fiero con buon piccante e amaro, poco sale e poco aceto di mele.


Altri esempi :



Crostini con palamita, fiori di aglio selvatico, fiori di reichardia e germogli misti




Tartare di palamita, cavolo viola, pimpinella, fiori d'aglio selvatico e tartufo marzuolo


Allium neapolitanum o aglietto (c'è anche una varietà rosa dal gusto più marcato), si mangiano fiori e gambi. il più intenso è il Triquetum. L'orsino è il più conosciuto ma si trova solo in posizione montana o pedemontana.